Tradizionalmente è il relatore che racconta e spiega un argomento: che fa la lezione.
Studia, progetta, espone, risponde alle domande dei partecipanti e alla fine chiede: tutto chiaro?
Nel migliore dei casi la risposta è: «sì, tutto chiaro, molto interessante, bravo…»
Complimenti a parte, resta la domanda: siamo sicuri che ci sia stato apprendimento?
Può l’apprendimento coincidere con la sensazione che, per me, sia tutto chiaro?
Nessun essere umano è in grado di apprendere il 100% delle cose che sente.
Dopo aver ascoltato/studiato un’esposizione normalmente si creano 3 aree:
1) «sono certo di aver appreso»
2) «mi sembra di aver appreso»
3) «non credo di aver appreso»
Quale consapevolezza abbiamo di queste 3 aree?
Quali elementi della realtà mi indicano che sono certo, o che mi sembra o che non credo?
Come possiamo passare da una generica sensazione ad una ragionevole certezza?
Com’è possibile accertarsi di aver compreso, facendo così crescere le prime 2 aree e riducendo la 3a?
L’APPRENDIMENTO è un fatto complesso, che vede la presenza di molte variabili e che spesso necessita di molto tempo per essere verificato.
La formazione ha il compito di generare delle premesse affinché l’apprendimento si sviluppi, sapendo che, per certo, non si esaurisce nell’aula (in presenza o online).
Mi occupo di relazione, cioè di un’area tematica che ha molti aspetti cognitivi, intendo dire che questi temi sono stati studiati, approfonditi, modellizzati con l’obiettivo di spiegare cosa sono e come funzionano (qualcuno le chiama conoscenze dichiarative e conoscenze applicative).
Le fatiche relazionali che sentiamo, quasi mai derivano dal fatto che non sappiamo delle cose, anche se è vero che non le sappiamo, semplicemente perché nessuno ce le ha insegnate e conseguentemente nessuno le ha imparate.
Derivano più spesso dal fatto che siccome la relazione ci accompagna dalla nascita, molte persone sono convinte di essere nate con una dotazione sufficiente (trattasi invece di stretto necessario e di bassa qualità) e quindi di saperla fare.
Non è così ovviamente e quindi, quando ci mettiamo in una condizione di apprendimento, fra le cose da imparare abbiamo anche alcuni aspetti cognitivi, che non sono la soluzione alle nostre fatiche ma contribuiscono a costruirla.
Questi aspetti cognitivi io li fornisco all’inizio del processo formativo.
Sono contenuti in 1 o più video, dedicati al tema che si sta affrontando, che ogni partecipante può comodamente vedersi a “casa propria”.
Dopo averli visti e rivisti, meglio: studiati (lo so, è un vocabolo desueto, e anche un po’ irritante, per gli adulti…), si ripropone la domanda di qualche riga fa: «giacché nessun essere umano è in grado di apprendere il 100% delle cose… eccetera eccetera…»
Aggiungevo anche: quali elementi della realtà mi indicano quanto, cosa e come ho appreso?
Siccome stiamo parlando di elementi cognitivi io mi fermo a quel pezzo di apprendimento che coincide con il capire e dico, senza timore di essere smentito: «se non la sai ripetere forse è perché non l’hai capita.»
Magari eri certo e ti stai sbagliando, forse ti sembrava e invece… oppure avevi ragione a pensare «non credo».
O più probabilmente qualcosa l’hai capita, qualcosa no e accorgetene ti chiarisce una serie di dubbi che ti portano ad un reale apprendimento.
Allora è inutile che arrivi un bravo relatore a farti lo sconto sulla fatica dell’apprendimento, a darti l’illusione di aver appreso perché lui l’ha detta bene e magari ti ha anche fatto divertire durante…
È meglio se ci pensi tu.
L’ANTILEZIONE È UNA LEZIONE FATTA DAL PARTECIPANTE (E NON DAL TRAINER)
L’antilezione non è un riassunto, un bigino, un “più o meno il video dice…”.
L’antilezione è: “rifarla uguale”.
La verifica consiste proprio nel tentativo di farla identica, nell’utilizzare le stesse parole, nel seguire le stesse sequenze, persino nel fare gli stessi esempi, insomma: uguale!
Nel ri-dire il partecipante si accorge se il suo dire ha un senso.
Se ce l’ha, lì c’è l’elemento della realtà a confermare, e se non ce l’ha, lì c’è la possibilità di trovarlo e farlo proprio.
Mi occupo di relazione e aiuto le persone ad apprenderla.
CAPIRE è solo il 1° step.
Capisco quando assumo il dato che mi viene fornito, sapendo cos’è e come funziona.
Il 2° step è COMPRENDERE.
Comprendo quando mi è chiaro il significato che attribuisce al dato la persona che me lo ha fornito.
È chiaro che quando una persona ci dice «sono triste» non siamo di fronte solo ad un contenuto da capire.
Se canale e codice sono ok, è facile capire l’affermazione.
Il problema relazionale sorge quando crediamo che capire sia sufficiente.
Quando pensiamo che il significato che noi attribuiamo (ammesso di conoscerlo) a tristezza sia anche l’unico ragionevole.
Quando ascoltando, fra noi e la persona che abbiamo di fonte mettiamo il filtro dei nostri criteri.
Quando decidiamo se i suoi motivi per essere triste sono fondati o banali e così invece di comprendere finiamo per giudicare.
Quando decidiamo che ha ragione ad esserlo giacché conferma la nostra ipotesi sul mondo.
Quando decidiamo di essere (o non essere) d’accordo prima di avere compreso, alcune volte prima di avere capito.
Alcune volte ancora prima, perché «è una dei nostri» o «è una degli altri»…
CAPIRE E COMPRENDERE. PER APPRENDERE, CONDIVIDERE NON SERVE.
L’apprendimento – che coincide con l’aver capito & compreso, non con l’essere d’accordo, col condividere – non è un fatto solo razionale e cognitivo.
Molte volte capisco a fondo e comprendo realmente, solo dopo aver aggiunto l’esperienza concreta.
Quante volte pensiamo «ma che ci vuole…», poi proviamo a fare e scopriamo che le cose stanno diversamente e solo a quel punto ci accorgiamo di cosa si sta realmente parlando…
Altre volte invece tutto parte da un’esperienza, da un incontro, che genera successivamente la voglia di approfondire cognitivamente: «ho già compreso il senso, ora voglio capirne di più…».
Apprendere con la pancia e con il cuore ci permette di comprendere anche ciò che il cervello, per il momento, non coglie e anzi, aiuta il cervello ad aprirsi.
Si dice che l’emotivo apre al cognitivo…
Se so cosa significa essere triste posso comprendere la tristezza di un’altra persona indipendentemente dal suo perché e anziché dirle: «ma come, ti preoccupi per questo?» posso stare con la sua preoccupazione empaticamente.
Ma questo, nel percorso formativo, viene dopo.
Per ora ci basta saper fare un’ANTILEZIONE…