Tutt* noi pensiamo.
A un sacco di cose, anche contemporaneamente e, senza alcun motivo razionale, abbiamo spesso la sensazione di avere su di esse le idee chiare.
Per il solo fatto di averle pensate le immaginiamo compiute, logiche, crediamo che rappresentino ciò che davvero proviamo dentro e crediamo di “essere ciò che stiamo pensando”.
Tutto parte da qui: PENSO.
Qualche volta ci serve scrivere ciò che pensiamo.
Lì ci rendiamo conto che ciò che avevamo pensato fosse chiaro… chiaro non è.
Non escono le parole e quando escono non rispecchiano esattamente quello che intendiamo.
«Sì, è vero, avevo pensato questa cosa, ma ora che devo scriverla mi accorgo che era solo una bozza, un inizio, forse persino un’intuizione ma comunque qualcosa di incompiuto.»
I significati non si “trovano”, non sono funghi… si costruiscono attraverso delle elaborazioni.
Il 1° passaggio elaborativo, il più elementare, è: PENSO -> SCRIVO.
Eppure, sono poche le persone che hanno l’abitudine di scrivere ciò che pensano, ciò che hanno vissuto, ciò che provano.
Si accontentano di questa idea fasulla che «siccome lo penso… è sufficiente così».
Qualche volta ci serve dire ciò che abbiamo pensato e scritto.
Lì ci rendiamo conto che quelle parole che sembravano “giuste”, ancora non lo sono.
«Sì, è vero, raccontano quello che “sento dentro” ma adesso che le dico mi rendo conto che non significano esattamente quello che sento dentro.»
Cambieremo queste parole anche più volte, fino a quando non le sentiremo adeguate ma non chiamatele correzioni, sono invece il frutto di un 2°, prezioso, passaggio elaborativo: PENSO/SCRIVO -> DICO.
Eppure, sono poche le persone che hanno l’abitudine di dire ciò che hanno pensato e scritto.
Si accontentano di questa idea fasulla che «siccome l’ho scritto… è sufficiente così».
Ma “dire” e “sentirsi” sono due cose differenti.
“Dire” prevede un oggetto, “sentirsi” prevede un soggetto, al centro non ci sono più le cose, i concetti, ma noi.
Quando diciamo le cose ad alta voce sentiamo la nostra voce e questo ci permette di renderci conto di aver detto quelle cose, di appropriarcene, dirle certifica, in un certo senso, che sono proprio nostre.
Ad essere giuste non sono più le parole, lo diventiamo noi attraverso quelle parole.
Di solito questo è il momento in cui si fa più forte l’emozione, questo 3° passaggio elaborativo: PENSO/SCRIVO/DICO -> MI SENTO è quello che ci mette in contatto con noi, non più (solo) con ciò che diciamo.
Se queste 4 fasi: “penso/scrivo/dico/mi sento” sono sufficientemente in accordo fra loro, noi ci sentiamo congruenti.
Eppure, sono poche le persone che hanno la possibilità di sentirsi.
Si accontentano di questa idea fasulla che «siccome l’ho detto… è sufficiente così».
Ma non è ancora finita, ecco l’apice.
I/Le più fortunat* di noi hanno ancora un’ultima, splendida e rara opportunità: ascoltarsi attraverso una persona che ripete, esattamente, quello che hanno appena detto.
Non quello che si ricorda, non un riassunto, non parafrasando, non usando altre parole, non mettendosi in mezzo fra me e ciò che ho detto ma ripetendo esattamente quello che ho detto.
Ascoltarsi attraverso un’altra persona mi permette di creare uno spazio fra me e il mondo che ho raccontato e di metterlo a fuoco, per poter comprendere se/che è proprio “il mio”.
Ora le parole sono giuste, io sono giusto e ciò che penso è esattamente ciò che provo dentro.
Solo attraverso questo 4° passaggio elaborativo: PENSO/SCRIVO/DICO/MI SENTO -> MI ASCOLTO posso prendermi in carico per davvero…
Eppure, sono poche le persone che hanno la possibilità di ascoltarsi attraverso un’altra persona.
Principalmente perché di solito la persona che è con noi:
a) ci ha già interrotto
b) ha cominciato a fare domande candidandosi al ruolo di protagonista
c) ha cominciato a parlare di sé (di fatto cambiando protagonista e discorso…) o più probabilmente
d) se n’è già andata non essendo mai e poi mai capace di ascoltarci in quel modo
A questo si aggiunge che non sappiamo chiedere di essere ascoltat* perché sono poche le persone che possono raccontare di aver provato un’esperienza del genere.
Non possiamo chiedere una cosa che non conosciamo, magari ne percepiamo il bisogno ma non sappiamo come esprimerlo.
Serve fare l’esperienza di un ascolto empatico per comprenderne la forza dirompente…