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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.

Gabriel Garcìa Màrquez

Riflettere è considerevolmente laborioso, ecco perché molta gente preferisce giudicare.

José Ortega y Gasset

 

Cos’è un PFI?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe leggere cosa hanno scritto le persone che l’hanno vissuto, anche se non è come sentire le increspature delle loro voci…
O ascoltarle mentre lo raccontano, anche se non è come vedere gli sguardi che avevano quando, attraverso me, parlavano a loro stesse.
Alcune emozioni arrivano a frequenze che nessuna voce può riprodurre…

Anche io non conosco LA risposta, davanti alla persona io penso: «so che ti sta accadendo una cosa preziosa, ma so anche che non potrò mai comprendere, fino in fondo, cosa è per te».

A me pare che il PFI sia un’esperienza di relazione con sé e di autocomprensione.
Io vedo Persone intente a scoprire cosa stanno provando mentre imparano a comprendersi, a considerarsi preziose, a sentirsi protagoniste nel significare le cose che accadono loro, a dare senso a ciò che provano, a prendersi in carico.

Alla fine, credo che la “vera risposta” non esista, esiste solo la risposta soggettiva di chi vive il PFI perché nei panni dell’altr* può starci solo l’altr*.
Questo spiega anche perché ogni PFI sia un “pezzo unico”.
L’oggetto è un vissuto soggettivo e lo strumento è la relazione fra due soggetti: non stupisce che ogni volta nasca qualcosa di originale…

Gli obiettivi del PFI

Il PFI, attraverso brevi incontri di 45’, accompagna la persona affinché provi, con le proprie forze e senza accedere agli strati più profondi, ad accrescere la propria consapevolezza, la propria autonomia e la propria interdipendenza con il mondo.

I principali obiettivi sono:

  • mettere a fuoco i fenomeni vissuti soggettivamente, dar loro un senso
  • lavorare su di sé: sulla correlazione fra i propri comportamenti, i propri bisogni e le proprie emozioni
  • analizzare le proprie “risorse personali” (possedute o da sviluppare)
  • ideare un progetto evolutivo e farsi accompagnare nella sua realizzazione

Lo strumento

È uno solo: l’ascolto empatico che, potenzialmente, è patrimonio dell’essere umano e non esclusivo di una professione.
Sentire che una persona (chiunque essa sia) ti ascolta, ti comprende e non ti giudica ti permette di provare a significare ciò che stai vivendo.

La relazione d’aiuto

Chiediamo aiuto quando il nostro “patrimonio di risorse” ci sembra insufficiente, quando paghiamo il prezzo in termini di efficacia (scarto eccessivo fra risultato desiderato e conseguito) o di efficienza (costo eccessivo per il risultato conseguito), quando di fronte ad un pezzo di strada da compiere sentiamo che «così come sto, mi sa che non ce la faccio…»

Non è facile chiedere aiuto, la nostra cultura non premia chi mostra le proprie difficoltà.
Ogni segno di cedimento è vissuto come predittivo di un’esclusione: «1 su 1.000 ce la fa» (spesso anche di meno…) e «se ti gira un po’ la testa non puoi stare su questa giostra».

Questi modelli sciagurati non aiutano a considerare normale la difficoltà, la paura di non farcela, il dubbio, l’incertezza…
Spesso le persone considerano “non-normale” ciò che sentono e, anziché chiedere aiuto, cercano di zittire il sintomo (il più delle volte è una risposta corporea che ci dice che qualcosa non sta andando come dovrebbe).

Il PFI è dunque un’esperienza che ha come oggetto la normalità, la quotidianità.
Le difficoltà che sentiamo non sono l’indicatore della nostra “difettosità” ma il segno che la vita è una ricerca incessante di punti di equilibrio, continuamente persi e ritrovati.

«Il PFI è il mio progetto»

  • «Anche se me l’ha proposto la mia organizzazione sono io che decido se e quando aderire al progetto.»
  • «Non è una delega in bianco a qualcuno che ne sa più di me ma una richiesta a qualcuno che può aiutarmi. Sono e resto io l’esperto di me stesso.»
  • «È irrilevante chi paga, sono io a decidere se, come e a chi dare visibilità del mio percorso.» E io certo non aprirò bocca…

La struttura

Il PFI ha alcune regole di funzionamento che aiutano a rendere chiaro sia il “patto” che la persona fa con sé, sia quello che fa con me.

DURATA DEL PERCORSO

organizzazioni
La necessità organizzativa di pianificare una spesa ha spinto a stabilire un numero di incontri: 12. Ripetibili nel tempo.

persone (con o senza P.I)
Non essendoci l’esigenza di stabilire a priori un numero di incontri è la persona che decidere liberamente la durata del proprio percorso.

In ogni caso, io e la persona abbiamo, in ogni momento, la possibilità di sospendere o terminare il PFI.

1° incontro: il “contratto”
La persona esplora le ragioni per le quali sta attivando questo progetto.
Io presento il “funzionamento” del PFI.
Al termine decidiamo insieme se ci sono le condizioni per avviare il percorso.
In caso affermativo questo 1° incontro vale come incontro 1.

“n” incontri: l’elaborazione
Nel corso di questi incontri si affrontano i punti di lavoro portati dalla persona.
La responsabilità della persona è di utilizzare il PFI.
La mia responsabilità è di farlo funzionare.

l’ultimo incontro: l’uscita
È dedicato a fare un bilancio del lavoro svolto e fissare gli “apprendimenti” realizzati.

ASPETTI OPERATIVI

durata, cadenza e planning
Ogni incontro dura 45’ e si tiene, di norma, ogni 14 giorni.
Al termine di ogni incontro vengono concordate le date dei successivi 2 incontri.

modalità, location e vincoli logistici
La persona si impegna a “proteggere” la propria “location” da disturbi di qualsivoglia natura, a partire dal proprio smartphone che deve essere spento.
È buona cosa fruire di una linea sufficientemente stabile e utilizzare uno schermo sufficientemente grande per vedere e farsi vedere bene.

La dimensione online ha lo svantaggio di favorire una pianificazione dei propri impegni senza alcun “ammortizzatore” fra il precedente e il successivo, nella falsa convinzione di essere più efficienti.
È bene evitare di ritrovarsi col proprio PFI incastrato, e garantirsi 10/15 minuti di tempo per sé, prima e dopo l’incontro, per favorire l’entrata e ammorbidire l’uscita.

Il feel-back

Dopo ogni incontro la persona prosegue il proprio lavoro formativo attraverso un passaggio scritto, che anni fa una persona (grazie Daniela per l’intuizione) denominò feel-back.

cosa è?
Riguarda le emozioni provate durante l’incontro appena concluso.
Per la persona è un’ulteriore occasione di contatto, incontro e ascolto di sé.
Un nuovo allenamento che prevede questa domanda: «Quali emozioni ho provato? Cosa le ha prodotte?»
Per me è un’opportunità in più per comprendere come la persona sta vivendo il PFI.

cosa non è?
Non è un compito, o un verbale, o il riassunto di ciò che è stato detto durante l’incontro e nemmeno il diario delle riflessioni fatte fra un incontro e l’altro.

quando va fatto e a chi va mandato?
La persona scrive il feel-back subito dopo l’incontro (le emozioni sono più vive a ridosso dell’evento) e me lo invia (via @) prima possibile.

cosa scrivi tu, durante gli incontri?
Prendo appunti durante e dopo l’incontro, sui contenuti che ho ascoltato, sulle emozioni che ho ascoltato e visto e anche sulle quelle che ho vissuto io…
Li rileggo, sempre, prima di ogni successivo incontro con la persona.

 

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